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Massimo Spano / Rural Electrification Orchestra - The Sleepwalker su Jazz Convention

Sin dalle prime note di Green Street, il brano che apre The Sleepwalker, la Rural Electrification Orchestra si getta in un turbine sonoro irrequieto e spericolato: senza guardare nè a destra nè a sinistra, la formazione guidata da Massimo Spano, si infila nel suo percorso e attraversa generi e attitudini musicali con una buona dose di spavalderia. Il rock più sanguigno incontra le propaggini del jazz newyorchese odierno: il bassista consuma questa unione secondo la visione corale e stratificata di un ensemble largo dove è la chitarra a fare da contraltare alle esplosioni dei fiati e la gestione armonica viene tracciata dagli incontri delle linee. 
Ascoltando il disco della Rural Electrification Orchestra viene subito alla mente il riferimento a Frank Zappa: naturale, inevitabile, ricorrente faro per una idea musicale sempre in divenire come quella presente nelle varie tracce. Ma, se il chitarrista statunitense di origine siciliane - sarà un caso? - è il primo pensiero, altri richiami vanno a colorare le composizioni originali e gli arrangiamenti di Spano, autore di tutti i brani tranne Afro Blue e Zoe chant di Matteo Marongiu. Come le suggestioni orchestrali proposte dai fiati che vanno a comporre e sciogliere sezioni a seconda delle necessità dei brani. Come la gestione melodica presente nelle varie ballate che permettono a interpreti e ascoltatore di riprendere il fiato dopo le scorribande sonore. Il piglio della formazione resta sempre tirato, se non nervoso, anche quando il tempo rallenta o le atmosfere sembrerebbero più pacate. È la rappresentazione del concetto di musica in divenire, cui si accennava sopra: Spano e compagni riescono a insinuare sempre il dubbio che possa succedere qualcosa di inatteso senza mai, allo stesso tempo, deragliare dalla linea sonora con scossoni incoerenti e improvvidi. 
Dieci tracce per cinquantadue minuti totali: la formazione mantiene l'atteggiamento estremamente gagliardo dell'apertura e include nel disco accenti mediterranei, modali, vicini al blues e al rock e molto altro ancora in uno sviluppo aperto e intenzionato, se nel caso, a correre il rischio di esagerare piuttosto che di rimanere timido sulle posizioni di partenza, teso a non servare rimpianti ma a sperimentare in modo spigliato le combinazioni scaturite dalle conseguenze delle proprie idee.

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